I giochi sono una cosa seria. Un gioco ben fatto è come un meccanismo ben progettato che incuriosisce, appassiona e allena la mente di chi gioca. È difficile inventare giochi originali e chi ci riesce può diventare ricco. Un gioco può insegnare cose utili e magari anche cambiare il mondo; almeno, così credevo quando ho inventato il Monopoli.
Mi chiamo Elisabeth Maggie, Lizzie per gli amici, e sono nata nel 1866 in Illinois. L’America nell’Ottocento era una terra di progresso dove ogni giorno si brevettavano nuove invenzioni; o meglio, dove gli uomini brevettavano nuove invenzioni. Alle donne non era chiesto di pensare, solo di fare figli e badare alla casa. Io, invece, grazie a mio padre ero cresciuta diversa, con grandi sogni e molti talenti: attrice, poetessa, scrittrice, ero anche appassionata di politica e lottavo per i diritti di noi donne. Per come la vedevo io, la condizione e la libertà delle donne non era molto diversa da quella degli schiavi afroamericani; un giorno, per scherzo, pubblicai un annuncio sul giornale:
“Giovane donna americana schiava cerca un marito per possederla”.
In politica difendevo i diritti della povera gente contro quelli dei grandi baroni della finanza; era quello il secolo dei “Robber barons” come Morgan, Vanderbilt, Rockefeller che avevano creato fortune immense con il monopolio di acciaio, ferrovie o altre industrie strategiche.

Per combattere questi monopoli c’era una teoria economica nuova, la cosiddetta Single Tax. Secondo questa teoria la terra era giudicata un bene comune di tutti, e quindi chi la occupava doveva pagare una singola tassa basata sull’occupazione di terreni sia in città che in campagna. La Single Tax avrebbe colpito soprattutto i grandi proprietari terrieri e immobiliari, permettendo di togliere le tasse dal commercio e dal lavoro. Voi, col linguaggio di oggi, la chiamereste una tassa patrimoniale.
Nel 1903 ebbi un’idea; potevo usare un gioco per insegnare concetti di economia al grande pubblico? Il gioco che inventai si chiamava “The Landlord’s game”. I giocatori si muovevano lungo un percorso quadrato e potevano comprare terreni, scambiarli, metterli all’asta; pagavano una tassa se si fermavano su un terreno già acquistato. C’erano anche caselle speciali per la prigione o il parcheggio.

Si poteva giocare con due tipi di regole: quelle del Monopolio, dove lo scopo era semplicemente arricchirsi, e quelle della Prosperità, dove invece bisognava lavorare assieme per produrre ricchezza. Il Landlord’s game era diverso da tutti i giochi da tavolo precedenti, perlopiù banali percorsi a ostacoli. “Potremmo anche chiamarlo il Gioco della Vita” scrissi in un articolo “perché contiene tutti gli elementi di successo e fallimento del mondo reale, e l’obiettivo è lo stesso che sembra avere la razza umana, cioè l’accumulo di ricchezza”.

Pubblicai artigianalmente il mio gioco, ma presto la gente cominciò a produrne versioni casalinghe; in fondo era facile, bastavano un foglio di carta quadrato, due dadi e dei segnalini. Si diffuse tra gli studenti delle università di Harvard, Columbia, Pennsylvania, e stranamente anche tra i quaccheri di Atlantic City. Chiamarono i vari terreni del gioco con nomi di strade e piazze delle loro città.
Il gioco ebbe così successo che un uomo me lo rubò.
Nel 1932 un venditore fallito di nome Charles Darrow era a cena a casa di amici. La crisi del 1929 aveva distrutto la sua carriera, e cercava disperatamente qualcosa per tirare avanti. Dopo cena il padrone di casa gli mostrò il mio gioco che lui aveva conosciuto nella versione dei quaccheri, quella con i nomi di strade di Atlantic City. Darrow rimase affascinato dal gioco, e pensò di fare soldi pubblicando una sua versione. Cambiò lo stile grafico del gioco usando un disegnatore professionista, lo rese più accattivante, aggiunse le carte “Imprevisti” e “Probabilità”. Riuscì a vendere il gioco a una casa editrice, anch’essa in difficoltà economiche, chiamata Parker Brothers; Gli diedero 7000 dollari, l’equivalente di 140 000 euro attuali, più una percentuale sulle vendite.
Il gioco, col nome di “Monopoly”, ed ebbe un successo enorme. Dopo un po’ la Parkers Brothers si accorse del plagio; per evitare di uccidere la gallina dalle uova d’oro mi contattarono e offrirono di comprare il mio Landlord’s Game. Per rendere l’offerta ancora più allettante promisero di pubblicare altri giochi che, nel frattempo, avevo inventato. Mi diedero 500 dollari, un quattordicesimo di quello che avevano dato a Darrow.

Non importava, io non creavo giochi per diventare ricca, ma solo per aiutare la gente, ed ero felice di poter pubblicare i miei giochi. Purtroppo l’offerta era solo uno specchio per le allodole; i miei giochi non furono mai promossi quanto quello di Darrow, e scomparvero presto dal mercato. L’unica cosa che rimase, diventando un pilastro della cultura americana fu il Monopoly, e la storia di Darrow geniale inventore. Lui raccontava di aver creato il Monopoli, parole sue, “in maniera inaspettata e illogica”.
Sono morta nel 1948, sconosciuta, ma la verità viene sempre a galla prima o poi. La storia perduta dell’invenzione del Monopoli saltò fuori, per scherzo del destino, proprio a causa della Parkers Brothers. Nel 1973 un professore di San Francisco, Ralph Anspach, inventò un gioco chiamato Anti-monopoly. Anspach era un idealista come me, che voleva combattere i monopoli; allora non c’erano più Rockefeller e Morgan, ma c’era l’OPEC e il monopolio del petrolio. L’Anti-monopoly ebbe parecchio successo e, inevitabilmente, la Parkers Brothers citò l’autore per plagio. Per difendersi, Anspach cominciò a fare ricerche sulla storia del Monopoly, e così scoprì la mia storia.
Oggi tutti mi riconoscono come la prima, vera autrice del gioco da tavolo forse più famoso della storia. Il mio gioco ha venduto, si stima, 275 milioni di copie in 103 nazioni, stampato in 37 lingue diverse, ogni versione con nomi di strade locali. Esistono tantissime versioni diverse del Monopoli, alcune davvero strane, ad esempio:
- Un Monopoli tutto in vetro.
- Un Monopoli rotondo.
- Un “pizza Monopoli” contenuto in una scatola di cartone stile pizza.
- Un Monopoli di cioccolato, dove segnalini, case e hotel sono cioccolatini edibili. (Quando finiscono i cioccolatini, bisogna rubare quelli normali da un altro Monopoli).
- Monopoli edizione di lusso con dadi in oro a 18 carati, diamanti ornamentali e soldi veri (costo 10000$)
- Un Monopoli di Elvis Presley.
- Monopoly D-day edition.
- Monopoli Pokemon.
- Tantissimi Monopoli dedicati a Guerre Stellari.
- Monopoli edizione “pesca alla spigola” (Bass Fishing).
- Monopoli Tutankamon.
- Monopoli: uncorni contro lama.
So che volete saperlo: la versione italiana usa strade e piazze di Milano (ad esempio, la via Verdi del Monopoli si trova dietro il Teatro alla Scala).
Dovrei essere felice, ma il successo ha un retrogusto amaro. Ricordate, avevo creato il Landlord’s game con due set di regole, uno di puro capitalismo, basato sulla competizione, ed uno di prosperità, basato sulla cooperazione; il mio scopo era mostrare come il secondo sistema fosse meglio del primo.
Come potete facilmente immaginare, a nessuno piaceva giocare per la prosperità; cooperare è noioso, è molto più divertente ridurre i propri amici sul lastrico. Così, il gioco che avevo creato per criticare capitalismo e avidità è diventato il simbolo per eccellenza del capitalismo e della competizione.
Forse è inevitabile; dopo tutto gli esseri umani amano la lotta e la ricchezza, e tutti sognano di sentirsi, per un paio d’ore nella loro vita, uno spietato barone della finanza.
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