Sono mesi che combattiamo una terribile epidemia. La situazione è drammatica ma è importante sapere che cento anni fa ci capitò una cosa simile ma molto, molto peggiore.
La più grande catastrofe medica della Storia ha inizio, sembra, l’11 marzo del 1918 nel campo reclute dell’Esercito degli Stati Uniti di Fort Riley, Kansas. C’è la Prima Guerra Mondiale, una situazione ideale per le epidemie, con masse enormi di soldati che viaggiano da un continente all’altro e una popolazione civile affamata e debole. Fort Riley ospita migliaia di giovani soldati in attesa di partire per L’Europa, ammassati in tende, in condizioni igieniche precarie, esposti al freddo dell’inverno. Quella Mattina Albert Gitchell, un cuoco, si presenta dal dottore con dolore ai muscoli e mal di gola. Entro mezzogiorno, altri 107 soldati marcano visita con gli stessi sintomi. È l’inizio di un’epidemia che diventerà tristemente nota come “La Spagnola”; ucciderà tra 50 e 100 milioni di persone.

Trasportata dai soldati, la prima ondata di Spagnola arriva rapidamente al fronte trovando un terreno di coltura ideale. Le trincee sono immense pozzanghere di fango, infestate da ratti e pidocchi, dove i soldati respirano il fetore dei cadaveri dei compagni caduti che marciscono, irraggiungibili, nella terra di nessuno. L’influenza colpisce prima le truppe alleate, poi passa il fronte e colpisce in ugual modo i Tedeschi. A luglio si è già estesa all’Africa, Medio Oriente, Filippine, Australia, Nuova Zelanda, la Cina e tutta l’America.

L’epidemia è avvantaggiata dalla segretezza tipica della guerra: le censure di tutti i paesi in guerra minimizzano il numero di malati, nessuno stato vuole far sapere al nemico quanto è debole.
Solo la Spagna, paese neutrale, riporta i numeri veri, e per questo eccesso di sincerità ha il dubbio onore di dare il nome alla nuova malattia che tutti chiameranno la “Spagnola”.

A settembre, una seconda ondata parte dal porto di Boston. Il virus è, chissà come, mutato, è più cattivo. I malati sviluppano in poche ore macchie di cianosi sugli zigomi, che poi si estendono alle orecchie e su tutta la faccia; poi arriva la morte per soffocamento. È un virus terribile e strano perché, a differenza del COVID-19, uccide i giovani molto più degli anziani.
La seconda ondata raggiunge l’America Latina, l’Europa, colpisce molto duramente l’Africa per poi arrivare in India, Cina e Australia. La Spagnola riuscirà a contagiare 200 milioni di persone, cioè un abitante della terra ogni otto.
I medici possono fare davvero poco per contrastare il virus, semplicemente perché non si sa ancora cosa sia un virus. Si cerca di bloccare la Spagnola con vari rimedi, dai più ragionevoli ai più strampalati. Come succede oggi, tossire o starnutire in pubblico senza coprirsi la bocca diventa un atto osceno. Il governo suggerisce anche precauzioni: usare maschere facciali, evitare affollamenti e mezzi pubblici e, soprattutto, stare a casa.
Fioriscono rimedi di ogni tipo senza nessuna evidenza scientifica, suggeriti da sedicenti esperti, non sempre in buona fede. Si provano trattamenti con latte caldo, fumi di cloroformio, oppio, ma anche cerotti alla senape, da applicare sul corpo dei malati. Una donna dell’Oregon proclama di aver salvato la figlia immergendola per tre giorni, dal collo in giù, in cipolle fresche appena tagliate. Alcune famiglie, riconoscendo correttamente che il contagio si spande per via aerea, si chiudono in casa sigillando ogni apertura, dalle fessure delle porte ai buchi della serratura, correndo il rischio di morire per soffocamento per il fumo dei bracieri.

Come sempre l’opinione pubblica cerca un colpevole, un capro espiatorio; lo trova anche allora negli immigrati, in particolare gli Ebrei e gli Italiani, accusati di aggregarsi attorno al capezzale dei malati, e di baciarli. In Arizona si da la colpa ai cani; molti sparano ai loro animali credendoli vettori del contagio. Un’altra notizia senza prove dice che i Tedeschi hanno diffuso il virus letale, arrivando in America tramite i loro U-boot.
A novembre del 1918 arriva finalmente la fine della guerra, con la resa della Germania, ma l’epidemia non si arresta; anzi, i festeggiamenti in strada fanno aumentare il contagio.
La Spagnola serpeggia tra i delegati della conferenza di pace di Versailles in un momento cruciale della trattativa, uccidendo un diplomatico inglese e colpendo il Presidente americano Woodrow Wilson. La debolezza di Wilson permette a Francia, Inghilterra e Italia di imporre alla Germania una pace punitiva che favorirà, negli anni successivi, l’ascesa di Hitler.
L’epidemia di Spagnola continua sino all’estate del 1920 per poi scomparire, misteriosa come è arrivata. Nessuno saprà mai esattamente come è nato il virus della Spagnola, che gli esperti hanno poi battezzato H1N1. Una nuova malattia nasce quando virus di influenza aviaria e virus di influenza umana si mischiano nel corpo di un animale terzo compatibile con entrambi, di solito un maiale. Forse la catastrofe è cominciata col volo di uno stormo di anatre sopra le molte fattorie che sfamavano i soldati di Fort Riley, con qualche loro escremento che finisce nella mangiatoia dei maiali; solo supposizioni, purtroppo.
Il mistero del virus H1N1 è stato parzialmente risolto negli ultimi anni da una specie di Indiana Jones delle malattie. Johan Hultin, un microbiologo svedese, decide nel 1951 di cercare il virus nelle tombe delle sue vittime, in particolare tra gli Eschimesi Inuit in Alaska, dove il terreno gelato rallenta la decomposizione dei corpi.

Scavare un cimitero in Alaska profanando cadaveri sotto gli occhi dei loro discendenti è un’attività strana per un microbiologo, e testimonia tutta la passione di Hultin per la scienza. Il primo tentativo del 1951 fallisce; nel 1997, ormai in pensione, Hultin decide di riprovarci e stavolta riesce, trovando campioni di polmone ancora pieni di virus.
Grazie a questo anziano e tenace Indiana Jones, abbiamo ora la sequenza genetica del virus della Spagnola. Gli scienziati credono che il virus H1N1 fosse così letale non tanto per i suoi effetti diretti, quanto perché scatenava una risposta immunitaria chiamata “tempesta di citochine” nel corpo umano; questo spiegherebbe anche perché uccideva preferibilmente i giovani, che hanno un sistema immunitario più forte.
Nonostante i progressi fatti non è ancora del tutto chiaro perché la Spagnola fece così tanti danni; di sicuro la Prima Guerra Mondiale aiutò molto il nascere e il diffondersi dell’epidemia, ma furono importanti anche le sue caratteristiche genetiche, e il modo con cui i governi lo affrontarono.
Oggi che stiamo affrontando una catastrofe simile, è importante conoscere meglio la storia dell’influenza Spagnola, per capire quali errori stiamo facendo, e possibilmente non ripeterli.
Pubblicato per la prima volta su SAPERE, Ottobre 2020.
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