Einstein e la guerra

Diffidate di chi non ha dubbi ma solo certezze. Solo gli stupidi non cambiano idea, ed io non sono mai stato uno stupido; anzi, per molti sarei il più grande genio mai esistito.

Mi chiamo Albert Einstein. Internet è piena di mie citazioni e forse pensate che abbia detto solo frasi di grande saggezza. Vi sbagliate: nella mia vita, come tutti, ho fatto tanti errori, combinato guai e cambiato molte volte idea, per non parlare della mia vita sentimentale.

Nato in Germania sotto il rigido regime educativo prussiano, odiavo sin da piccolo i militari e la guerra. Molti miei compagni giocavano a fare i soldati. Io no. Una volta, guardando dei soldati marciare in parata, mi misi a piangere dicendo: “Quando sarò grande, non voglio essere come questi poveretti”. A diciassette anni, per evitare il servizio militare obbligatorio, scappai in Italia rinunciando alla cittadinanza tedesca.

Dopo essere diventato famoso per la mia teoria della relatività, diventai una bandiera e simbolo del pacifismo. La Prima Guerra Mondiale – allora non la chiamavamo così ignorando che stava per arrivarne una Seconda – aveva sconvolto tutti per la sua brutalità e tanti altri come me erano pronti a qualsiasi cosa pur di evitare altra violenza. Anche in America feci discorsi infuocati sul pacifismo, esortando i giovani a rifiutare il servizio militare. Come potete immaginare, mi feci molti nemici. Dissero che insegnavo il tradimento alla gioventù del paese; Robert Millikan, direttore del Caltech e premio Nobel come me, disse che non avevo buon senso.

Secondo le mie idee la guerra non era da regolamentare ma da eliminare, e le masse popolari potevano farlo rifiutando il servizio militare.

“E cosa farebbe” mi chiedevano nelle interviste “se scoppiasse un’altra guerra, con un chiaro aggressore?”

“Rifiuterei comunque il servizio militare, indipendentemente dalle cause della guerra” rispondevo.

Con l’ascesa al potere di Hitler, cominciai però ad avere dei dubbi. Fui scacciato dalla Germania. La mia casa fu perquisita cercando armi nascoste dei comunisti. Una rivista pubblicò una lista di nemici del regime tedesco, e sotto il mio nome aggiunse “non ancora impiccato”. “Non tornare” mi scrisse un mio amico “ti trascineranno per le strade per i capelli”.

Rifugiato in America, cominciai a cambiare il tono dei miei appelli, chiedendo al mondo di disapprovare i nazisti. “Mi sembra che nell’attuale situazione dobbiamo sostenere un’organizzazione sovranazionale della forza piuttosto che l’abolizione di tutte le forze” dicevo “I fatti recenti mi hanno insegnato qualcosa sotto questo aspetto.”

La soluzione pratica che avevo in mente era un corpo internazionale che facesse da mediatore imponendo, se necessario, la pace con una forza esecutiva; in altre parole, una specie di ONU con un esercito proprio e indipendente. C’era già un abbozzo di un’organizzazione simile, la Lega delle Nazioni, che però non aveva nessun potere e cercava timidamente di porre delle regole alla guerra.

E poi decisi di annunciare al mondo che il pacifismo non bastava per fermare Hitler. “Le mie idee non sono cambiate, ma la situazione europea sì… Finché la Germania continua a riarmarsi in vista di una guerra di rivincita le nazioni dell’Europa occidentale dipendono, purtroppo, dalla difesa militare”.

Scatenai l’ira e le critiche di tutti i movimenti pacifisti che mi avevano sempre elogiato e proposto come modello. Dovetti rispondere alle lettere infuriate di capi di associazioni e colleghi accademici che mi vedevano come un traditore. A tutti risposi in maniera chiara e diretta, tenendo fermo il punto: Hitler non poteva essere fermato con la non violenza.

E arrivò poi il giorno dove feci una scelta che avrei rimpianto tutta la vita. Nell’estate del ’39 due colleghi, Leo Szilard ed Eugene Wigner, vennero a chiedere il mio aiuto: erano convinti che fosse possibile costruire una bomba atomica di potenza mai vista, basata sulla mia celebre equazione E=mc2. Pensavano che i nazisti stessero lavorando alla bomba atomica e mi chiesero aiuto per convincere anche gli Stati Uniti a lavorare allo stesso tipo di arma.

Dissi di si.

Scrissi al presidente americano Franklin Delano Roosevelt, attirando la sua attenzione.

Concludevo scrivendo che: “Mi è noto che la Germania ha bloccato le vendite di uranio della Cecoslovacchia occupata”. La reazione di Roosevelt fu tempestiva; creò subito un comitato per valutare l’uso militare della reazione a catena. Le attività iniziali si trasformarono nel più mostruoso progetto di ricerca mai pensato fino allora. Il progetto Manhattan impiegò circa 13000 persone, consumando il 20% della produzione annuale di elettricità degli Stati uniti, con un budget di due miliardi di dollari di allora, equivalenti a circa 22 miliardi di euro di oggi.

Segnale usato per ricordare l’importanza della segretezza ai lavoratori del progetto Manhattan, che stavano costruendo la prima bomba atomica della storia.
La prima bomba atomica assemblata per il progetto Manhattan.

Il resto della storia lo conoscete. La prima città ad essere distrutta fu Hiroshima, che avevo visitato nel 1922. Ero rimasto colpito dalla gentilezza, semplicità e amore per l’arte del popolo giapponese; quando seppi della prima bomba sganciata su Hiroshima, il mio unico commento fu: – Mio Dio!

Scoprimmo troppo tardi che i nazisti erano molto lontani dal fabbricare una bomba atomica. Dopo la guerra io, Szilard e tanti altri scienziati cercammo di bloccare lo sviluppo di armi atomiche ma ormai il genio era uscito dalla bottiglia, era sotto il controllo dei politici e dei soldati e nessuno scienziato sarebbe più riuscito a rimettercelo dentro.

Potete leggere una storia più dettagliata della vita, della Scienza e del pensiero di Einstein su:


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