Il protagonista della nostra storia si chiama Diego. Egli è la dimostrazione evidente di quanto possa essere fallace la matematica, ed in particolar modo la scienza statistica. Diego è il bagnino dello stabilimento n. 58 “Haiti” di Marina Romea, e la sua caratteristica è che fa l’amore circa trecento volte all’anno. Ora, questa montagna enorme di accoppiamenti è molto più di quanto faccia l’italiano medio (ed è enormemente più di quanto faccia io, devo dire). Ne consegue che Diego dovrebbe essere un uomo felice, ed è così infatti che lui si atteggia con gli amici al bar, dove viene in genere considerato un gran sborone. Ma la sua felicità è solo finzione. Questo perché la sua pur intensa vita sessuale è concentrata in soli quattro mesi all’anno, e quindi si può dire che Diego abbia una stagione degli amori, alla stregua delle strolaghe artiche, dei caribù, e di Alberto Angela.
Nei mesi che vanno da metà maggio a metà settembre Diego ha una media di duevirgolacinque orgasmi al giorno, e senza neanche fare troppa fatica.
Le sue prede preferite sono le turiste russe che Diego conquista presentandosi al loro asciugamani con due fasci di lettini stretti sotto le braccia possenti, i muscoli lucidi e ben depilati, i pettorali scintillanti come due palle di biliardo. L’unico inglese che sa l’ha imparato dalla pubblicità del maxibon, e la sua frase preferita è “your eyes are bel come un toc the strazatel”, ma di solito basta, perché tanto anche le turiste russe non è che mastichino tante lingue oltre alla loro. Una frase, due sorrisi, quattro cazzate, e il gioco è fatto.
Sono amplessi rapidi, sbrigativi, di solito consumati in una cabinetta di legno dello stabilimento, si, proprio quelle dove noi comuni mortali andiamo invece a cambiarci, bestemmiando mentre in equilibrio precario su una gamba cerchiamo di infilare l’altra gamba nel costume senza appoggiare la schiena alla parete lurida.
Diego no, lui ha una cabinetta di legno personale che ha attrezzato a garçonniere, o nido d’amore, o scannatoio o come diavolo volete chiamarla, attrezzata con un piccolo strapuntino di legno ribaltabile imbottito, e ampia scorta di sigarette. C’è anche una foto di Diego quando arrivò secondo al concorso Mister Universo “autocarrozzeria Gatteschi” 1997. Nella foto, che lui si è autoautografato, Diego sorride, con la fascia adagiata plasticamente sull’inevitabile petto glabro. Completa l’arredamento un frigobar sempre pieno di bibite analcoliche e cornetti algida.
Di solito, Diego apre la porta alla fortunata di turno, la invita a entrare con un gesto galante, poi entra anche lui, chiude la porta e, stretto a lei a causa dell’ambiente claustrofobico, le chiede “Vuoi qualcosa da bere ?”. Se lei dice “No”, Diego lascia perdere i convenevoli e si trasforma al volo da galante gentlement inglese in focoso selvaggio maschio latino, appoggia la russa ancora stupita sul predellino apposito e comincia a dargliene.
Se lei invece dice che vuole da bere Diego risponde “bevi dopo”, e procede ugualmente.
L’amplesso furioso raggiunge spesso tale potenza e ritmo che i clienti degli altri spogliatoi, sempre in equilibrio precario su un piede solo, pensano che qualcuno stia inchiodando degli assi, bestemmiano l’inesistente operaio e a volte cadono a terra.
Una volta che entrambi i partecipanti a questa specie di gemellaggio internazionale hanno raggiunto soddisfazione, Diego si rialza i boxer hawaiani, offre una sigaretta, una bibita o un cornetto algida (a seconda dei gusti) e riaccompagna la signorina fuori dello sgabuzzino. E’ il momento dei saluti, di solito accompagnanti da un sorriso e una carezza, infine Diego si fa pagare il lettino o la sdraio e riparte per un altro giro. In media (di nuovo questa maledetta media, perdio !) tra la richiesta di una sdraio da parte della russa e il raggiungimento dell’orgasmo passano trentasette minuti esatti. Se Diego si sente molto romantico, o la ragazza ama i preliminari, arriva anche a concedere trentanove minuti. La mancanza di vestiti e l’allenamento permettono una perfetta ottimizzazione dei tempi. Col passare degli anni Diego ha anche affinato una tecnica che gli permette di indossare il condom mentre è ancora in pubblico, sulla spiaggia, circondato di ignari bagnanti flaccidi e panciuti. E’ una tecnica molto ingegnosa ed efficace, che non posso rivelarvi perché protetta da copyright.
Ho dimenticato di dire che Diego non accetta mai denaro per i suoi servizi, a parte l’affitto della sdraio, e disdegna il termine gigolò. Non lo fa per denaro, ma per passione, e crede sinceramente di ricevere dalle donne molto più di quanto dà (e bisogna dire che dà parecchio).
La giornata lavorativa di Diego è così organizzata: apertura ombrelloni la mattina, 1 ora. Chiusura ombrelloni la sera, 1 ora. Colazione e lettura della gazzetta dello sport, 1 ora. (apriamo una parentesi: a Diego anche la Gazzetta dello Sport piace di più d’estate, quando i giornalisti devono fare i salti mortali per riempire 40 pagine al giorno in crisi d’astinenza da calcio. Diego adora i resoconti del campionato di cricket di Bombay, o del torneo di surf Hawaiano).
Pranzo a base di cocomero e frittura di pesce, 2 ore, digestione compresa. Sesso, 4 ore al giorno compresi gli inevitabili tempi di ricerca della russa adatta all’uopo. Infine, partitella defatigante a biliardino con gli amici, cornetti “cuore di panna” a tonnellate per recuperare le energie spese, e poco altro.
Con questo rigido tabellino di marcia, Diego solca imperterrito l’estate come una nave a gonfie vele, accumulando testosterone (o meglio, smaltendolo) come uno scoiattolo che faccia provviste per l’inverno. Il fresco giugno cede il passo allo spettacolare luglio, che introduce il generoso e rigogliosissimo agosto, nei cui giorni finali s’insinua purtroppo l’infido settembre, ancora caldo e carico di doni, ma di cui già non ci si può fidare appieno. E l’inverno, immancabilmente, arriva.
Dovete sapere che la Natura aveva fornito Diego di un corpo da statua greca, un istinto naturale di socializzazione, insieme a indubbie capacità sessuali, ma insieme a tutto questo, ahimè, gli ha dato anche un piccolissimo difetto.
Diego è strabico, uno strabico asimmetrico. Certo, ci sono cose peggiori di avere un occhio che va per i fatti suoi, ma la faccia di Diego, a causa di quell’occhio pazzo, assume un aspetto viscido e inquietante. Non avreste mai comprato una macchina usata da Diego, se lo aveste guardato dritto negli occhi, anche perché è impossibile guardarlo in tutti e due gli occhi contemporaneamente.
Appena nato, Diego aveva l’occhio destro che guardava a sinistra, mentre per fortuna l’occhio sinistro era normale. Lo strabismo era così forte che, se non fosse stato per il naso che era in mezzo, Diego avrebbe potuto vedersi un occhio con l’altro. I genitori, da bravi genitori, avevano provato tutti i metodi classici, costringendo il povero bambino a indossare occhiali da mezzo chilo a lente, ma l’occhio restava ribelle. Infine, si erano decisi a dilapidare i risparmi di una vita in BOT e CCT per una costosa trasferta in Svizzera, da un famosissimo dottore germanico che con sapienti tocchi di laser era in grado di raddrizzare qualsiasi cosa. Sfortuna volle che il dottore avesse appena cominciato un corso d’italiano, e che volesse fare un po’ di pratica. Così il destino di Diego venne deciso parlando in un idioma astruso che rassomigliava un po’ al Tedesco, un po’ all’Italiano, ma che purtroppo non era nessuno dei due.
“Kain problema, ist operazionen zimplcissimah. Foi folere fare zwei augen ?” aveva chiesto il dottore, alzando due dita a coadiuvare il suo italiano stentato, e i genitori festanti avevano fatto di si con la testa, forse perché non capivano, forse perché pensavano che il dottore stesse facendo il gesto della vittoria, o forse perché, da bravi proletari col senso del risparmio, pensavano che un’offerta di due al prezzo di uno non si dovesse mai rifiutare. Ora il dottore era scappato all’estero (ma dove cavolo scappa uno quando deve scappare via dalla Svizzera ?), la causa era ancora in corso, e un’altra operazione era impossibile da fare. E Diego, dopo l’intervento, si era ritrovato con l’occhio destro che guardava dritto, ma l’occhio sinistro che ora guardava a destra.
Aveva preso la sua disgrazia con filosofia e memore delle prese per il culo subite alle scuole elementarimediesuperiori, si era buttato in palestra, e poi sulla spiaggia, scegliendo la carriera di stallone. Ora i suoi ex compagni di classe, con la pancetta e la calvizie e il secchiello e tre bambini urlanti, erano costretti a guardarlo da lontano, relegati sotto l’ombrellone affittato a stagione intera, mentre lui scorrazzava libero per la spiaggia in cerca di prede. D’estate Diego riusciva a coprire il suo strabismo con enormi strafighissimi occhiali da sole, distogliendo gli sguardi dal viso grazie alla generosa esibizione di muscoli. Ma, inevitabilmente, con l’arrivare della brutta stagione doveva rivestirsi, e togliersi gli occhiali altrimenti, con un solo occhio puntato in avanti, non vedeva un cazzo. Diego cercava di sfruttare il periodo utile sino all’ultimo, ma inevitabilmente i freddi venti ottobrini trasformavano i suoi novantacinque chili di muscoli lisci e dorati in una massa di pelle d’oca, anche a causa della mancanza della sua naturale peluria pettorale crudelmente estirpata a inizio stagione. Era quindi costretto a mollare la spiaggia e ritirarsi nei suoi quartieri d’inverno, cioè il bar centrale di Marina Romea, dove passava i giorni giocando a carte cogli amici, bevendo Peroni, discutendo in interminabili dibattiti di politica, e sognando con malinconia il ritorno delle russe migratorie. Cercava inutilmente sulla Gazzetta dello sport notizie del campionato pakistano di Cricket, per avere anche solo un fuggevole assaggio dell’atmosfera estiva, ma trovava solo calcio.
Per quanto riguarda le donne, a volte provava ad andare cogli altri in discoteca, dove prendeva più rabbia che altro, perché un noto teorema matematico, detto “il paradosso dell’erba del vicino”, dice che, in qualunque nazione tu sia nato, la ragazza autoctona che la mattina dopo si deve svegliare presto per andare a lavorare è molto, molto meno disponibile della straniera in vacanza che non ha un cazzo da fare.
Il suo sguardo inquietante, poi, faceva scappare anche le poche indigene disponibili. Provava a rimediare anche qui con occhiali da sole, ma a un certo punto della serata gli chiedevano comunque di toglierseli, e in ogni modo con gli occhiali aveva la tendenza a dare tremende craniate contro tutti i pilastrini della pista da ballo.
Un giorno, mentre sedeva al tavolo del bar per l’ennesima partita a beccaccino, alzò gli occhi e vide una cosa bellissima. C’era la televisione accesa. Licia Colò, come una Madonna di bianco vestita, aveva il dito puntato, e gli stava indicando la strada. La strada era effettivamente una strada vera e propria, il corso principale di Vilnius. La trasmissione si chiamava “le perle del mar Baltico”, e parlava dei bellissimi musei Lituani, ma questi dettagli ed altri ancora sfuggirono a Diego. Una ragazza attraversò fugace l’inquadratura della strada, indaffarata nello shopping, e tanto bastò.
Diego calò un tre di spade che metteva un punto definitivo alla partita, si alzò in piedi ribaltando la sedia, si riallacciò la cintura allentata per comodità.
“Vado a prendere le bionde” disse come in trance, e tutti pensarono che aveva finito le sigarette.
Svuotò la mezza Peroni che aveva ancora sul tavolo, svuotò il suo conto in banca fatto di BOT e CCT. Per entrambe le cose gli ci volle un attimo. Comprò otto chili di patatine, birra e coca cola in quantità, e tutte le cassette di Fausto Papetti che riuscì a trovare in autogrill. Purtroppo non aveva un frigo portatile, di quelli che si attaccano alla presa dell’accendisigari, e non poté portare neanche un cornetto Algida. Fece il pieno di benzina agricola alla sua Lancia Delta del ’93, e partì verso Nord.
E in questo momento sta andando, il nostro Diego, nella fredda notte mitteleuropea, guidando verso Nord, destinazione il Baltico. Si nutre solo di birra e patatine, guida agli ottanta all’ora per risparmiare benzina (la velocità di punta della Lancia Delta ventennale, comunque, sarebbe novantacinque). Quando si sente solo, comincia a cantare a squarciagola le canzoni di Fausto Papetti, facendo karaoke. Tempo di arrivare al confine, e le ha già imparate tutte. Si sta dirigendo verso il San Gottardo, e per il Baltico ha già sbagliato strada, ma c’è ancora tempo prima che se ne accorga, come un uccello migratore lui segue la stella polare, e vola imperterrito verso Nord.
Quale sarà il destino del nostro eroe ? Arriverà infine in terre ghiacciate e ricche di bellissime donne bisognose di calore mediterraneo, incuranti del suo occhio sguincio e dello sguardo traverso ? Finirà, senza benzina e senza soldi, a fare il bagnino in una sauna termale di Dresda, dove fa caldo tutto l’anno e non bisogna vestirsi mai ? Oppure tornerà infine a Marina Romea, a raccontare storie di incredibili avventure, vere forse per meno della metà, facendo colle dita elenchi di conquiste impossibili ? Questo non ci è dato sapere nella storia. Per ora, possiamo solo continuare a seguire Diego, nel suo folle viaggio della speranza a cercare un’infinita estate in terre che vera estate non hanno mai, attraverso l’Europa gelata. Il ventilatore della Lancia Delta lo ha mollato a Basilea, e si è piantato con un ultimo rantolo gracchiante. Diego non se ne cura, sul vetro appannato dal freddo ha disegnato un triangolo, ardita metafora geometrica dell’agognato scopo del suo viaggiare, si sporge in avanti, aguzza gli occhi e cerca di seguire la strada.
E, pur criticando alcuni (e credo sopratutto alcune) la sua così ristretta e specialistica filosofia di vita, non possiamo che accettare la sua scelta, rispettare la sua passione, e pochi di noi magari condividerla. Vai, Diego, Vai. Il nostro cuore, e non solo quello, viaggia con te.
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