OVVERO:
I buoni vincono sempre (solo nei film americani)
Il vino è buono, la strada è cattiva.
Questo è, in generale, quello che Alfio pensa della vita, e come lui vede le cose. Il vino, tavernello comprato dai pakistani per 99 centesimi a cartone, scende facilmente in gola come miele (frizzante però) e riscalda nelle notti d’inverno. Ne bastano solo 3 litri per far sentire Alfio felice.
La strada, invece, è dura e ruvida e bagnata, traditrice. A stare seduti fa male il culo, a dormirci di notte spacca la schiena; il freddo subdolo e vigliacco sale lentamente dall’asfalto, trapassa i giornali infilati sotto la giacca e t’impregna la schiena. Il momento più brutto è poco prima dell’alba quando il freddo ti sveglia. I muscoli rigidi, il vino finito, Alfio rimane lì, troppo sofferente per addormentarsi, troppo ghiacciato e stanco per alzarsi.
E’ una serata come tante, e Alfio si sta godendo allegro il suo secondo litro, seduto sulla scalinata di una chiesa sotto la neve di Dicembre, spettatore indifferente dell’ingorgo natalizio che strangola il centro di Bologna.
Alfio, altrimenti imperturbabile, lancia ogni tanto un urlo selvaggio all’unisono del clacson degli automobilisti infuriati, bloccati dall’ingorgo.
Il piano di Alfio è semplice: scolarsi altri 2 cartoni di tavernello e poi addormentarsi lì, esattamente dove si trova, incurante degli sguardi scandalizzati dei passanti, che già ora lo guardano male. E beve Alfio, felice per il momento, immemore di un tempo lontano in cui la sua vita e i suoi pensieri comprendevano anche un lavoro, una famiglia, una casa, prima che tutto il mondo si riducesse al vino, e alla strada.
Vede arrivare lungo il viale una macchina enorme, una limousine lucida e nera, bellissima, che solca la corsia preferenziale incurante di telecamere e multe. Anche i clacson degli automobilisti, per un attimo, tacciono, per rispetto a quel balenottero di acciaio lucente. La limousine si ferma esattamente davanti ad Alfio. Ne scende un autista in alta uniforme, con alamari e mostrine.
– Buonasera- dice l’autista al barbone.
– Buona sera colonnello- risponde Alfio, già leggermente sbronzo, all’autista.
– Non sono colonnello, grazie. Le interesserebbe guadagnare 50 euro?
– Devo spostarmi di qui?
– No, si tratta di un lavoretto rapido rapido di trenta secondi,
– Mi dispiace, ha sbagliato persona. Io, per principio, non lavoro.
– Facciamo 100 euro.
Alfio ci pensa, indeciso, e ci beve su un sorso. 100 euro sono più di 100 cartoni di vino pachistano, pensa, 101 per l’esattezza. Ce n’è da bere un bel po’. Con 100 euro potrebbe addirittura fare lo scialacquone, e comprare qualche bottiglia di vino vero.
-Va bene- dice infine- cosa devo fare?
– Per prima cosa si alzi.
– Cominciamo già con le cose difficili.
Alfio si alza traballante, reggendosi al muro con tutte e due le mani.
– Allora? Di che si tratta?
– E’ molto semplice. Mi deve tirare un pugno.
– Cosa?
– Con tutta la forza che ha.
– Lei è tutto scemo.
L’autista per risposta tira fuori un portafoglio di pelle e ne cava due banconote da 50 €, così pulite e lucide che sembrano appena sfornate.
– 100 euro. Per un solo pugno
Alfio si convince. Allarga le gambe, si bilancia, respira a fondo e poi tira un cazzotto all’autista che vola all’indietro lungo il marciapiede.
Urlano di sdegno e terrore gli autisti imbottigliati pensando ad aggressione di extracomunitario. L’autista si rialza massaggiandosi il mento.
-Ottimo- dice, e dà ad Alfio i 100 euro.
– Ripeto, io sono un barbone alcolizzato ma lei è tutto scemo.
– Non importa. Se, eventualmente, avesse ancora bisogno di soldi, fra sette giorni io sarò ancora lì ad aspettarla. E potrà guadagnarne molti di più.
– Amico -dice Alfio sventolando i due biglietti da cinquanta- con questi sono a posto fino a Pasqua.
Tralasceremo di fare il racconto dei sette giorni successivi, che non vale la pena di ricordare e che neanche Alfio ricordò, stordito com’era da un uragano di alcool e cibo. Basterà dire che, come previsto, alla fine dei sette giorni Alfio è di nuovo lì, nello stesso identico punto, senza un centesimo in tasca ad aspettare il ritorno dell’autista. Puntuale come la morte, la limousine nera riappare. Solo che stavolta l’autista non scende ma abbassa il finestrino.
-Salga -ordina ad Alfio, uno sportello posteriore si apre come per magia e Alfio sale, accomodandosi su un sedile enorme e morbidissimo, tripudio di pelle e cromature.
La limousine riparte.
– Dove stiamo andando, eccellenza ? -chiede Alfio.
– Dal suo nuovo datore di lavoro.
– E chi è?
– La limousine è provvista di un bar -dice l’autista premendo un bottone, e uno sportello si apre facendo uscire un vassoio pieno di bottiglie luccicanti.
– Ambrogio, come diavolo ti chiami, sei un autista perfetto- dice Alfio servendosi un bicchiere, senza più nulla chiedere.
Quando, dopo circa un’ora e mezza di viaggio arrivano Alfio non può credere ai suoi occhi.
Si trovano nel giardino immenso di un castello, bellissimo, appoggiato come un falco su un picco isolato da qualche parte nell’Appennino. Entrando nel castello tutto è oro, marmo e opere d’arte che Alfio non sa riconoscere, ma che dalle cornici sembrano costose.
Alfio viene fatto accomodare, e per prima cosa gli servono un pranzo a dodici portate con caviale e champagne. Poi, per la prima volta da secoli, Alfio fa un bagno. Infine, mentre avvolto in un accappatoio bianco sorseggia un brandy nel patio, arriva un signore in giacca e cravatta, impeccabile, i capelli brizzolati e l’aria simpatica.
-Buonasera- fa il signore.
-Salve ! Lei deve essere il padrone di casa.
-Esatto. Mi permetta di presentarmi. Mi chiamo John Kerrigan terzo, ed è un piacere conoscerla.
-Mi chiamo Alfio e, mi creda, il piacere è tutto mio.
-Il suo nome non ha importanza. È stato trattato bene? La cena è stata di suo gradimento?
-Assolutamente. Mi ricordi, prima di andare via, di lasciare una generosa mancia alla schiavitù.
-Sarà curioso di sapere perché l’ho cercata in maniera, diciamo così, poco ortodossa, e perché ho bisogno di lei.
-Mi vuole dare altri 100 euri?
-Di più, mio caro amico, molto di più. Mi segua, la prego.
Kerrigan si avvia veloce per un corridoio lunghissimo, pieno di quadri di piante, e Alfio lo segue con un certo affanno, ciabattandogli appresso.
-Io ho un problema, mio caro amico-gli spiega Kerrigan senza rallentare- un problema grave.
-Mi dispiace molto. Qual è il suo problema?
-Vede io, nella vita, ho avuto tutto.
-Ah, è un problema?
-Si, è terribile.
-Allora mi dispiace.
-Le spiego. Sono nato da una famiglia ricchissima, sin da piccolo non mi è mai mancato niente. Sono sempre stato il primo della classe, il migliore della squadra di calcio della scuola, il migliore amico di tutti. A 17 anni ho vinto il mio primo premio, a 20 ho pubblicato il mio primo saggio, e dopo una laurea ad Harvard, sono tornato a casa per sostituire mio padre alla direzione dell’azienda di famiglia, che ho trasformato rapidamente da una piccola impresa in una multinazionale. Ho, oltre a questo castello, una villa in Costa Azzurra, un cottage a Cortina, un loft a New York, un’attico a Parigi, una flottiglia di barche a vela e una collezione completa di Ferrari scala 1:1.
-Non capisco. Ha problemi di salute?
-Solido come una roccia, mai avuto un raffreddore.
-Ha problemi con le donne?
-Ma cosa va a pensare! A letto sono un bulldozer. Sono stato con tre Miss mondo e due Miss Universo. Ora sono felicemente sposato. Guardi, questa è mia moglie.
Kerrigan tira fuori dal portafoglio e passa ad Alfio la foto di una bionda in bikini su uno yacht.
-Bella- fa Alfio divorando la foto con gli occhi -questa è stata miss qualcosa?
-No, volevo una ragazza normale, ho preso una semplice fotomodella.
-Eh, la felicità è nelle cose semplici.
-A voler essere precisi, però, una volta è stata quasi Miss Agosto per Playboy, nel 2005.
-Mi scusi, Mr. Kerrigan, ma non vedo proprio quale aiuto uno come me possa dare a uno come lei. Altra cosa, potremmo rallentare? Non ce la faccio più a correre.
Mentre Kerrigan parlava, hanno continuato a percorrere a lunghi passi il corridoio che sembra interminabile. Ai lati del corridoio, Alfio ha visto passare sale da pranzo, salotti, serre, piscine, sale da biliardo, palestre e poi di nuovo sale da pranzo, salotti e così via.
Ora Kerrigan si ferma e si gira di scatto verso Alfio.
-Ma non capisce?- gli dice -come fa a non capire? Io nella vita ho avuto tutto. Tutto! Non c’è niente a cui riesca a pensare che io possa desiderare. Ogni sfida, ogni traguardo è stato raggiunto, ed ho solo 43 anni. Cosa faccio per il resto della mia vita?
-Potrebbe riposarsi un pochino, no?
Kerrigan e riprende a camminare.
-No, non fa per me. Io ho bisogno di stimoli, capisce ? Ho bisogno di provare l’ebbrezza del rischio, il gusto della competizione.
-E io che c’entro in tutto questo?
-Siamo quasi arrivati- dice Kerrigan.
Si ferma davanti a una porta enorme di bronzo, molto più grande di tutte le altre. Kerrigan aziona un telecomando, si sente uno scatto metallico e la porta, cigolando, si apre.
-Venga dentro -dice Kerrigan -senza paura.
Entrano in uno spazio enorme. Un capannone di cui non si vede la fine, il soffitto è tinto di azzurro, con nuvole e sagome di luce, illuminato da una luce lontana che simula il colore rosso fuoco di un tramonto.
Tutto attorno a loro c’è quella che ad Alfio sembra la ricostruzione di un antico campo di battaglia, di uno scontro feroce terminato da poco. Sul terreno vede sparsi alla rinfusa corpi di uomini e strani mostri verdi, ricoperti di armature e armati di spade e armi spezzate. Moncherini di lance e alabarde, cespugli di frecce che spuntano come mazzi di fiori dal terreno, e a volte nei corpi dei guerrieri caduti. Un cavallo, poco più in là, giace stecchito a zampe all’aria. Alfio si accorge, guardando bene che tutto, dai cadaveri alle armi al cavallo stecchito, è finto, fatto di plastica e gommapiuma.
-Ma cos’è? Un set cinematografico?
-Esattamente- gli risponde Kerrigan fiero.
-Sono un grande appassionato di Fantasy. Fate, mostri, cavalieri, orchi, castelli incantati. Mi aiutano a fuggire dalla realtà.
– Si, anche a me piacevano le favole, ma ho smesso quando avevo dieci anni. Tutto questo mi sembra un po’… esagerato.
-Questo è il set di un film Fantasy che, preso dalla mia grande passione, mi sono divertito a produrre qualche anno fa. Si chiamava “IL CAVALIERE BIANCO CONTRO GLI ORCHI DELLA VALLE DELLA MORTE”. Io, modestamente, ero il produttore, il regista e il protagonista. Nel film io facevo, chiaramente, il Cavaliere Bianco, mia moglie la bella principessa in pericolo, 250 comparse albanesi facevano gli orchi.
-Da come ne parla doveva essere un bel film.
-Inutile dirlo, è stato un grande successo sia di critica che d’incassi, almeno nei cinema d’essai. Ma non credo che lei frequenti molto cinema d’essai.
-Signor Kerrigan, la ringrazio molto per i 100 euro, la cena, l’accappatoio e tutto il resto ma sto cominciando a scocciarmi. Mi dice cosa diavolo vuole da me?
-Non l’ha ancora capito ? Voglio un duello, mio caro signore. Un duello all’ultimo sangue, non un film, una sfida vera. Io, il Cavaliere Bianco, contro il più feroce, il più cattivo degli orchi.
-E l’orco, immagino, lo dovrei fare io.
-Esatto. Voglio provare il brivido dello scontro, sentire l’acciaio che stride contro l’acciaio, incrociare la spada contro l’odiato nemico.
-Naturalmente, useremo armi finte.
-Naturalmente no. Se avessi voluto fare un altro film avrei assunto un attore, non un disperato come lei. Useremo armi così affilate da poter tagliare una mosca in volo.
Per un attimo Alfio rimane a guardare Kerrigan senza sapere cosa dire. Poi finalmente trova le parole.
-E’ pazzo anche lei. Adesso ho capito da chi ha preso il suo autista.
-Le ho detto che volevo provare un brivido, sentire ancora l’eccitazione del rischio assoluto. Voglio una guerra all’ultimo sangue, senza pietà: due combattono, uno solo sopravvive e prima di dire no, mi faccia dire quale sarebbe il premio.
-E quale sarebbe?
-Tutto quello che ho. E intendo dire tutto. Questo castello, le mie tante compagnie industriali, la servitù, i miei possedimenti in Argentina, Costa Azzurra, i pozzi di petrolio in Asia, la cantina di vini personale. Lei il mio caro signore, in caso di vittoria diventerebbe tutto quello che io sono adesso. Mi creda, caro signore, sono sincero. Tanto, se vince lei, io sarò morto, e tutto questo non mi servirà più.
-Tutto quello che ha? Proprio tutto?
-Tutto. Compresa mia moglie.
Dice Kerrigan tirando fuori la foto di quasi Miss Agosto 2005.
-Adesso non esageri. Non può scommettere sua moglie.
-Io posso tutto, mi creda. Accetta?
-No!
-Perché no? Ha dato un pugno al mio autista per 100 euro. Perché, per una somma infinitamente superiore, non vuole uccidermi ?
-A parte che sono per la non violenza, non accetto perché c’è il serio rischio che lei uccida me!
-Andiamo, mio caro signore. Io, per il semplice brivido del rischio, sono disposto a mettere in gioco la mia bellissima e splendida vita. E lei, in cambio, non vuole rischiare la sua miserabile esistenza? Si guardi, si guardi bene. È brutto, povero, sporco, probabilmente, per essersi ridotto così, anche non troppo intelligente. Dal giallo dei suoi occhi vedo che ha chiari problemi al fegato, quindi non sopravvivrà comunque molto per la strada. E poi, dica la verità -fa Kerrigan avvicinandosi –dopo tutto quello che le ho detto, non le è venuta un po’ voglia di ammazzarmi?
-Effettivamente, Signor Kerrigan, si.
-Allora accetta, caro signore?
-Accetto, stronzo bastardo.
-Bene! Bravo! -fa Kerrigan battendo le mani, eccitato come un bambino -questo è lo spirito giusto. Non si preoccupi, faremo le cose per bene con un regolare contratto.
Kerrigan batte le mani due volte e come per magia appare l’autista, che porta un tavolino pieghevole sotto il braccio, e un piccolo omino incravattato al suo fianco.
-Questo è il mio notaio -spiega Kerrigan.
L’omino fa aprire il tavolo pieghevole, lo riempie di carta, spiega ad Alfio un bel po’ di cose che Alfio fa finta di capire, poi fa mettere ad Alfio e Kerrigan una firma in fondo ad un foglio pieno di scritte minuscole.
-Ecco fatto-dice Kerrigan -da questo momento in poi, chi di noi due sopravvive diventa proprietario e amministratore unico della Kerrigan S.P.A. con tutte le sue proprietà, annesse e connesse. Ora, mi scusi, ma devo andare a prepararmi per il grande evento. Anche la sua truccatrice sta già aspettando.
-Truccatrice? Devo anche truccarmi?
-E’ scritto nel contratto.
-Senta, non potremmo saltare tutti convenevoli di questa buffonata e risolvere subito la questione?
-Assolutamente no. I particolari, la scenografia, l’atmosfera sono fondamentali. ma questo, uno come lei non può capirlo.
Kerrigan va via prepararsi, mentre Alfio viene dato in pasto ad una signora arcigna che lo spoglia con un bambino e comincia truccarlo. Per prima cosa lo depila completamente, su tutto il corpo (“Dappertutto?” chiede Alfio spaventato. “Dappertutto” risponde lei acida). Ogni volta che Alfio fa resistenza, il notaio gli piazza davanti il contratto firmato, mentre l’autista dietro di lui flette minaccioso i bicipiti.
Gli rasano via anche i capelli, e poi lo dipingono di verde e gli fanno indossare:
1) un gonnellino peloso in pelle di capra (puzzolente).
2) stivali della stessa pelle, da bloccare e piedi con legacci.
3) un gilet in cuoio borchiato con ornamenti fatti di piccole ossa.
4) un elmo con due corna di mucca enormi che spuntano dai lati.
5) un’ascia bipenne con sulla lama schizzi di sangue finto, perfettamente affilata.
Infine, come ultimo tocco, gli mettono in bocca una protesi in plastica con due canini enormi che spuntano dal labbro inferiore. Alfio si guarda allo specchio. Non sembra un orco. Sembra Homer Simpson tinto di verde. La pancia gonfia da bevitore spunta, verde e liscia, da sotto i suoi vestiti finto barbarici.
-Sono ridicolo -dice.
-E’ esattamente così che la vuole Kerrigan -dice la truccatrice- Ora vada, e buona fortuna.
Alfio guarda la truccatrice, l’autista, il notaio, e improvvisamente ha un’intuizione. Capisce, in maniera assolutamente istintiva, che tutti quelli che sono nella villa, la truccatrice, gli autisti, i camerieri, i cuochi, i giardinieri, tutti vogliono che Kerrigan muoia.
-Speriamo bene-dice Alfio, che se la sta già facendo sotto.
Dopo avergli dato qualche sommaria istruzione e un’ultima pacca sulla spalla, lo lasciano solo sul campo di battaglia. Dei ventilatori, nascosti da qualche parte, soffiano un vento freddo e cattivo. Alfio seminudo rabbrividisce e, come i soldati prima di ogni battaglia, ha paura. In effetti, pensa, Kerrigan ha ragione, la vita di Alfio non è un granché. Mi ha scelto bene, il bastardo. Anche se muoio cosa ho da perdere? Notti passate al freddo, malattie, probabilmente una fine lenta e dolorosa in qualche baraccopoli. Però, pensa, ogni tanto ho avuto anche dei momenti di felicità.
Pensa a sua moglie, a come era bella, e felice, prima che tutto andasse alla malora. Pensa anche a sua figlia, persa in una città lontana. Chissà quanti anni avrà adesso. Sei, sette ? Ricorda, e non vuole ricordare. Stranamente, ora che forse sta per morire, non ha più voglia di bere, non sente neanche il bisogno di un ultimo sorso dell’addio prima dello scontro. Aspetta per un tempo interminabile, quasi si addormenta. Ma poi, finalmente, vede Kerrigan, poco distante. Il Cavaliere Bianco si staglia nettissimo sullo sfondo della luce (finta) del tramonto, indossando un’armatura bianca scintillante. Un elmo di buona fattura incornicia il volto regolare, e in pugno stringe una spada lunghissima, la cui lama riflette in bagliori rossastri. Kerrigan recita dei versi:
O barbara razza di servi selvaggi del male
venuti a sterminare
villaggi e città
questa lama fatata
vendicherà
La mia amata sposa
Che dolcemente riposa
nella nera terra
che presto anche voi accoglierà.
Kerrigan smette di parlare, senza abbassare la spada. Passano vari secondi e Kerrigan, senza muoversi, lancia ad Alfio un’occhiataccia, e lui realizza è il suo turno di parlare. Se n’era dimenticato. Tira fuori un biglietto di carta, dove c’è scritta la sua battuta obbligatoria (il contratto mio caro, il contratto!) E comincia a leggere .
-MALEDETTO CAVALIERE BIANCO- urla ma, per la foga, sputa via la protesi coi denti fitti che rimbalza un paio di volte sul terreno e poi si perde in una buca. Kerrigan lo guarda furibondo, lui alza le spalle dicendo, che ci posso fare?
Continua a leggere il biglietto.
-Maledetto cavaliere bianco –legge -noi… spegneremo tutta la sua famiglia e la sua tazza. Bruceremo la tua città e trasformeremo questa terra in un deserto di polvere e ossa! Accetta il tuo destino, e con esso l’irp… l’imr… l’impor…
-L’improcrastinabilità, porca miseria!-urla Kerrigan -neanche a leggere un biglietto sei capace!
-E calma! Prima mi chiami razza selvaggia di servi del male, e poi mi fai leggere un discorso di paroloni ? E che sembra parlare da orco, questo?
Kerrigan, fuori di sé, prende la spada a due mani e si avventa rosso in faccia verso Alfio che fa pena in tempo a mollare il bigliettino e prendere la sua ascia.
Kerrigan è una furia, tira fendenti con la spada da destra e da sinistra, Alfio si difende come può ma è costretto indietreggiare, incespicando pericolosamente sul terreno pieno di ostacoli. L’ascia che gli hanno dato è una fregatura, è pesantissima e non riesce a muoverla abbastanza velocemente da contrastare le stoccate del Cavaliere. Vede con la coda dell’occhio uno spadone per terra, lo prende rapido, lasciando cadere l’ascia.
-Non vale -dice Kerrigan fermandosi – gli orchi devono usare l’ascia! E’ scritto nel contratto.
-Ma sai il contratto dove te lo puoi mettere! -risponde Alfio con un gran fendente in orizzontale che colpisce Kerrigan di sorpresa. La spada che ha raccolto ha la lama smussata, e Kerrigan è protetto dalla corazza, ma l’urto lo spinge comunque vari metri di lato. Kerrigan si rialza urlando, eccitato, e ritorna alla carica. Alfio capisce due cose.
1) che Kerrigan si sta davvero divertendo. E’ drogato di adrenalina.
2) che non scherza, e vuole davvero ucciderlo. Questo è davvero un combattimento all’ultimo sangue.
Kerrigan è una furia, lo incalza senza pietà. Anche con la sua spada, Alfio capisce di non avere scampo; è evidente che Kerrigan si sta allenando a questo momento da mesi, magari prendendo lezioni da un campione olimpionico di scherma, mentre Alfio non ha mai maneggiato niente di simile a una spada, al massimo un racchettone sulla spiaggia di Rimini. Pensa di girarsi e mettersi a correre, ma Kerrigan non gliene da l’occasione, lo incalza, e comunque è un capannone chiuso, non c’è modo di scappare. La paura lo attanaglia, lotta per non essere paralizzato dal panico ma, inevitabilmente, a un certo punto incespica, sta quasi per cadere, poi riprende, faticosamente l’equilibrio, Kerrigan approfitta di quel momento per infilargli la spada in una coscia. Urla Alfio, e stavolta è davvero un urlo da orco, l’urlo di un’animale che sente vicina la fine. Kerrigan estrae lentamente la lama, e si prepara il colpo di grazia. Tira un fendente, verso il collo di Alfio che si regge in piedi a malapena, ma che riesce comunque a parare il colpo con fatica. Le due spade corrono una contro l’altra, Kerrigan preme con tutta la sua forza e Alfio lentamente cede, la gamba ferita si piega sotto lo sforzo e il terreno si avvicina. Kerrigan, premendo sulla spada, la faccia a pochi centimetri da quella di Alfio, lo guarda con gli occhi iniettati di sangue.
– Maledetto, muori ! -sibila respirando a denti stretti.
In quel momento, a Alfio sembra evidente che è Kerrigan il vero mostro.
Con un movimento rapido e inaspettato Alfio stacca una mano dalla spada e spinge due dita negli occhi di Kerrigan, con tutta la forza che ha. Funziona, e Kerrigan, mettendosi una mano sugli occhi, urlando, molla la spinta e indietreggia di un passo. Alfio ne approfitta per far fare un ampio arco alla sua spada, e ad abbatterla poi sul ginocchio di Kerrigan. Anche questa volta l’armatura in titanio regge, ma la giuntura corazzata si piega e il ginocchio dentro, pure. Si sente lo scrocchio sonoro della rotula di Kerrigan che va in frantumi.
Crolla a terra il cavaliere bianco.
-AHHHHRG- urla Kerrigan – questo non è permesso dalle regole!
-Vivendo dalla strada, le regole impari a infrangerle. Ma questo, uno come te non potrà mai capirlo. Mentre parla, Kerrigan vede Alfio allontanarsi, zoppicando pesantemente.
-Stai andando via ? – Chiede Kerrigan con voce tremante.
-No, non proprio- risponde Alfio, che a un certo punto si abbassa e raccoglie l’ascia che aveva buttato via.
-Vuoi questa, vero? -grida Alfio a Kerrigan – vuoi l’ebbrezza del rischio, il gusto della competizione?
Prende l’ascia, e usandola come una stampella si dirige verso Kerrigan.
– Stiamo calmi – dice Kerrigan – era solo un gioco, adesso è finita. Siamo sportivi, no ?
-Vuoi lo stimolo? Vieni, che te lo do io lo stimolo!
– AIUTOOO !- urla Kerrigan – qualcuno mi aiuti !
Prova a strisciare sul terreno per allontanarsi da Alfio, ma ora l’armatura lo immobilizza, e il barbone che lui ha trasformato in un orco selvaggio si avvicina inesorabile. Alfio alza l’ascia bipenne.
-Non è possibile -piagnucola Kerrigan, alzando le mani -il cavaliere bianco non può morire!
Alfio rimane sospeso, con l’ascia in mano.
– Tu non sei un assassino ! –gli grida Kerrigan – sei anche per la non violenza, l’hai detto prima! Nonostante tutto, io sono un essere umano come te. Vuoi davvero assassinare un uomo a sangue freddo ?
Alfio abbassa leggermente l’ascia.
– Effettivamente, nonostante tutti i miliardi in palio, non sono un assassino. Penso che ti risparmierò la vita.
– Davvero ?
– No. –dice Alfio, e cala la pesante ascia.
L’elmo di Kerrigan si deforma come una lattina di Fanta schiacciata, con la testa di Kerrigan dentro.
Dopo, Alfio rimane in piedi, a guardare quello che ha fatto, cercando con una mano di tamponare il sangue che esce dalla ferita sulla coscia. A poco a poco l’adrenalina che ha nel sangue diminuisce, il suo respiro rallenta, e lui si rende conto.
-Che cosa ho fatto-dice ad alta voce -ho ammazzato un uomo.
Guarda Kerrigan, ai sui piedi, il grande miliardario ridotto ormai a poca cosa, e prova per lui pietà. Però gli passa subito. Dopo tutto, pensa Alfio, l’ha voluto lui. Io l’ho solo accontentato. E poi, pensa, c’è il premio.
La porta di bronzo si apre all’improvviso, e Alfio vede entrare, avvolta da una luce che sembra luce propria, la quasi Miss Agosto 2005. Indossa un vestito frusciante di seta nera, e dal vivo è ancora più bella che in foto.
Alfio la guarda, lei guarda Alfio, e gli sorride avvicinandosi, seguita dall’autista e dal notaio. Arrivata fianco di Alfio, si gira a guardare il corpo di Kerrigan schiantato. Poi Miss Agosto dice:
-Che imbecille -e si mette a ridere. Ridono anche l’autista il notaio, e dopo un po’ anche Alfio viene contagiato che ride anche lui.
-Mi scusi, signora-dice Alfio -Lei adesso, sarebbe tecnicamente… mia moglie?
La donna ride ancora di più, sguaiatamente.
-Lei crede davvero-dice quasi Miss agosto-che io mi faccia vendere da mio marito come un cavallo?
-Ma signora, il contratto… -risponde Alfio ridendo.
Miss Agosto ritorna immediatamente seria.
-Quale contratto? -dice -non c’è nessun contratto. Non è mai esistito un contratto.
Alfio si gira verso il notaio, che fa spallucce.
-Non guardi lui -dice la donna-non è un vero notaio. E’ solo il mio estetista.
-Ma allora, era tutto finto?
-Non proprio tutto di lei -lei guardando il cadavere del marito -diciamo che ho, come dire, pilotato i capricci di quella bestia il marito per anticipare la fine del nostro matrimonio, e riconquistare la mia libertà e i soldi che mi spettano. Lui era molto all’antica, e contrario al divorzio consensuale.
-Vuol dire che io non diventerò miliardario?
Altra risata.
-Mio caro signore, cosa se ne farebbe di tutto questo uno come lei, abituato a campare tra i rifiuti? Ma non si preoccupi, riceverà un’ottima ricompensa in cambio dei suoi servigi e, s’intende, del suo silenzio. Per evitare inutili spiegazioni, abbiamo fatto una registrazione del video del vostro duello, con l’introduzione di quel fesso che di mio marito ha registrato, mezz’ora fa, in cui spiega che sta facendo tutto questo di sua spontanea volontà
La donna abbassa i suoi begli occhi verso i resti di suo marito, e scuote la testa desolata.
-Che imbecille-ripete ancora.
-Non è che avete l’intenzione di farmi scomparire?-chiede Alfio preoccupato.
-No, direi di no-risponde Miss quasi Agosto guardandolo col suo visetto assolutamente dolce.
-Dopo tutto, non sono mica un’assassina.
Su una strada statale sconosciuta, oscura e lunghissima, avanza zoppicando Alfio. E’ sbronzo e stanco, ha le tasche piene di soldi e ogni tanto prova a fare autostop, ma è ancora tutto dipinto di verde e usa lo spadone come stampella, quindi i rari automobilisti che incrocia più che dargli un passaggio provano ad investirlo. Ma non importa. È riuscito a farsi dare dall’autista una bottiglia intera di Johnny Walker, e beve whisky a garganella cantando a nessuno nella notte.
Riuscirà a raggiungere un paese o precipiterà dalla rupe ? Questo non si sa adesso. Per adesso cammina e canta, tranquillo e immemore, contando i cartoni di vino che berrà da qui all’eternità.
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