Nato nel Sud Italia, ho sempre pensato di appartenere a una razza di grandi bevitori di caffè.
Ricordo, sin da bambino, adulti grandi e grossi cedere gioiosi alla tentazione di bere il quarto espresso della mattina, avviandosi felici verso il bar più vicino.
Il caffè è sempre stato una grande passione, per cui noi italiani siamo noti in tutto il mondo; ovunque vada, le grandi catene di caffetterie portano spesso nomi italiani, e le parole cappuccino, macchiato e caffelatte sono usate, in Italiano e senza traduzione, nei menù e nei bar di mezzo mondo.
Da quando, per lavoro, mi reco spesso in Svezia, ho però scoperto che la nostra passione per il caffè impallidisce di fronte a quella dei popoli scandinavi.
Svedesi, Norvegesi, Finlandesi bevono caffè continuamente: di mattina, pomeriggio o anche di sera, dopo cena, e in quantità sorprendenti.

L’Italia non è tra le prime nazioni al mondo per consumo di caffè e neanche, direi, tra le seconde.
Secondo un recente articolo del giornale inglese The Telegraph ogni italiano consuma circa 6 Kg di caffè all’anno; uno svedese, 8 Kg; un norvegese, 10 Kg. I campioni della classifica sono i finlandesi, che consumano ben 12 Kg di caffè all’anno, circa il doppio di noi italiani!
Questi consumi non sono sicuramente frutto della tradizione, visto che il caffè non è mai stato coltivato in nessuna nazione europea.
Quella del caffè fu un’avanzata inarrestabile che investì l’Africa, l’Europa e poi tutto il mondo, sbaragliando sospetti ed attacchi di natura medica, morale e religiosa.
Il caffè non è originario dell’Arabia ma dell’Etiopia; una leggenda narra di un pastore etiope che vide le sue capre agitarsi mangiando le bacche di caffè; la storia è stata scritta per la prima volta nel 17° secolo, ed è quasi sicuramente falsa.
Un’altra leggenda parla di uno sceicco (dal tipico nome di Omar), che fu cacciato via dalla città di Mokha, ritrovandosi solo e affamato sui monti di Ousab. Per sopravvivere, Omar provò a mangiare le bacche di una pianta, che erano dure e amare. Provò allora ad arrostirle, ma le bacche rimanevano dure. Quindi le mise a bollire, ottenendo una bevanda forte e scura di sapore meraviglioso. Scoperto il caffè, Omar tornò nella città di Mokha, dove fu per questo fatto santo!
Leggende a parte, le prime tracce scritte del caffè si hanno nel 1511, alla Mecca. La nuova bevanda fu chiamata qahwa, e questo cominciò a procurarle i primi guai con le autorità, perché era lo stesso nome che già si usava per il vino. Il governatore della Mecca, confondendo le due bevande, fece un processo pubblico al caffè, proibendolo in tutta la città. La bevanda era talmente buona che gli abitanti continuavano però a berla di nascosto, sfidando la legge; la pena per bere caffè era la flagellazione.
Il governatore mandò immediatamente una lettera al Cairo, alla reggia del Sultano, per informarlo della pericolosa bevanda. Il sultano lesse il messaggio, probabilmente, mentre beveva una tazza di caffè; la bevanda scura era arrivata anche in Egitto. Il sultano sbugiardò il governatore, cancellò la proibizione e rese gli arabi, da allora, appassionati bevitori di caffè.
Dall’Arabia il caffè si diffuse in Europa attraverso la porta dell’Oriente: Venezia. Anche in Italia il caffè si creò nemici. Si narra che i consiglieri del Papa Clemente VIII, impressionati dall’enorme successo di quella bevanda di provenienza musulmana, suggerirono a Sua Santità di proibirla come una bevanda del Diavolo. Anche in questo caso, sembra che il Papa, dopo aver assaggiato il caffè, disse: “Questa bevanda è troppo buona per lasciarla bere solo agli infedeli”.

Sdoganato il caffè anche tra i cristiani, la bevanda si diffuse in tutta Europa. Arrivò in Inghilterra facendo nascere dal nulla centinaia di coffeehouse, che diventarono un importante luogo di ritrovo e attività anche politica. Le donne erano escluse dalla coffeehouse, e nel 1674 alcune di loro prepararono un’esilarante petizione contro il caffè. Secondo la petizione, “il caffè rende gli uomini impotenti e ciarlieri; bevono acqua sporca e cominciano a blaterare cose senza senso, fino a farli diventare ancora più pettegoli di noi donne”.

Anche questo tentativo di bloccare l’avanzata del caffè, chiaramente, fallì. Infine, il caffè arrivò nella sua futura, grande roccaforte: il Regno di Svezia (che all’epoca comprendeva anche l’attuale Finlandia).
Come il Sultano, come il Papa, anche il re Gustavo III di Svezia, preoccupato dell’enorme successo della bevanda, cercò di capire se il caffè fosse o no velenoso. A differenza dei precedenti critici, però, Gustavo decise di affidarsi alla scienza e non alla religione, organizzando un rigoroso esperimento medico.
Un problema generale della medicina è che è difficile capire se una cosa faccia male o no.
Non basta dare un farmaco a un paziente e poi vedere se migliora o peggiora, perché la nostra salute cambia continuamente in ogni caso; possiamo mangiare qualcosa di salutare ed ammalarci, oppure prendere qualcosa di dannoso senza conseguenze. Oltretutto, ogni persona è diversa, e quindi è difficile organizzare esperimenti comparativi. Oggi, per sapere se una medicina è utile o no si usa la statistica, facendo test clinici e comparando due grandi gruppi di persone, uno che prende la medicina e un gruppo di riferimento, che prende un semplice placebo.
Gustavo III non sapeva niente dei test clinici comparativi ma trovò una soluzione, per i suoi tempi, geniale. Prese dalle prigioni due gemelli identici, condannati a morte, e gli offrì di trasformare la pena in ergastolo ad una condizione: uno dei gemelli doveva bere tre bricchi di caffè al giorno, l’altro tre bricchi di tè.
Era un esperimento ben congegnato, perché i due gemelli avevano identiche caratteristiche fisiche, e conducevano anche lo stesso stile di vita salutare (in prigione). Gustavo mise due medici a sorvegliare le sue cavie e aspettò fiducioso.
Purtroppo il destino, beffardo, gli impedì di ottenere risultati. Entrambi i medici morirono prima dei loro pazienti, e anche Gustavo III fu assassinato ad un ballo in maschera, senza vedere la fine del suo esperimento. Sembra comunque che il gemello bevitore di tè sia sopravvissuto sino a 83 anni, mentre nulla si sa dell’altro.
Possiamo oggi, usando la scienza, rispondere alla domanda di Gustavo III? Il caffè fa più o meno male del tè?
Il Re sarebbe forse stato sorpreso di sapere che, in realtà, sia il tè che il caffè contengono lo stesso principio attivo: la caffeina!
Secondo le statistiche della FDA (Food and Drug Administration) americana, un espresso contiene circa 50 mg di caffeina; un cappuccino, circa 100 mg mentre un caffè americano (tall) ne contiene una quantità enorme: circa 330 mg!
Però, anche una tazza di te contiene circa 70 mg di caffeina, mentre una coca-cola circa 35 mg.
Nonostante, quindi, il nostro espresso sia più concentrato (e saporito) del beverone americano, contiene meno caffeina. Assodato, quindi, che la caffeina c’è in vari tipi di bevande, è dannosa o no per la salute?
Si dice che tutte le cose buone o sono immorali, o sono illegali o fanno ingrassare.
Il caffè, sorprendentemente, sfugge a questa regola, e sembra fare bene.
Un articolo del British Medical Journal (BMJ), pubblicato a ottobre 2017, riassume e paragona parecchi studi medici sul caffè. Secondo i lavori esaminati, un consumo moderato di caffè (sino a 3-4 tazze al giorno) riduce la mortalità e le malattie cardiovascolari, il rischio di tumore e di altri disordini neurologici o del fegato. Sembra quasi troppo bello per essere vero, ma per oggi, fra tante brutte notizie che ci bombardano, godiamoci questa buona notizia.
Ripensando alla lunga ed avventurosa storia di questa bevanda, bevetevi quindi un buon caffè.
Come per ogni cosa, senza esagerare.
Pubblicato sulla Rivista SAPERE, Aprile 2018.
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