L’uomo che volle capire l’Universo

Il mio nome è Stephen Hawking, e sono stato un uomo fortunato. A 21 anni i medici mi diagnosticarono una malattia che paralizzò tutto il mio corpo, per 55 anni; ma questo non è importante. In quei 55 anni non mi sono mosso tanto, ma ho pensato molto.

A 21 anni, ero uno studente di Fisica annoiato e senza scopo. Trovavo gli studi ridicolmente facili, e per questo non studiavo; strappai un buon voto di laurea ad Oxford solo promettendo che sarei andato a studiare dai loro peggiori rivali, cioè a Cambridge.

A Cambridge decisi di studiare cosmologia.

Facile, no? A quei tempi due teorie opposte volevano spiegare l’Universo. Una, chiamata steady state, immaginava un Universo eterno,  che si espandeva creando materia dal nulla; l’altra immaginava che lo Spazio, il Tempo e l’Universo fossero nati da una grande esplosione, chiamata Big Bang, circa 14 miliardi di anni fa. Durante il Big Bang tutto  era racchiuso in un punto di massa e temperature infinite, una singolarità nel mondo della fisica; dopo nacque l’Universo, e le galassie si stiano ancora allontanando tra loro a causa di questa grande esplosione.

Confronto tra due diverse teorie di creazione dell’universo.

Avevo da poco conosciuto la mia futura moglie, Jane Wilde, quando i miei neuroni cominciarono a distruggersi. Avevo una malattia terribile, l’Atrofia Muscolare Progressiva, che di solito uccide in un paio di anni. Entrai in depressione; sembrava la fine, invece era solo l’inizio. Io e Jane decidemmo di sposarci ugualmente, ed io di continuare a studiare l’Universo. 

Stephen Hawking e la sua prima compagna, Jane Wilde.

In quei tempi si cominciava a studiare la matematica dei buchi neri, corpi celesti così densi da curvare lo spazio-tempo tutto attorno sinché nulla, neanche la luce, può scappare dal loro bordo, chiamato l’orizzonte degli eventi.

La mia idea fu di applicare la matematica dei buchi neri all’intero universo. Pensai al Big Bang come a un buco nero che andasse al contrario, partendo da una massa enormemente concentrata, una singolarità, che poi si espandeva creando atomi, stelle e galassie. Non potevo dimostrare che il Big Bang fosse davvero successo, ma dimostrai che sarebbe potuto succedere. Ci riuscii con un trucco particolare che usano i matematici, la dimostrazione per assurdo: provai che, se il Big Bang era impossibile, allora il nostro universo debba essere aperto e chiuso allo stesso tempo! Quindi, il Big Bang era possibile.

Non accettai mai la mia disabilità, cercando di combattere strenuamente ogni battaglia, ogni nuova limitazione. Mi rifiutai di usare la sedia a rotelle sino a quando non fu inevitabile.

Io e Jane avemmo tre figli nel ‘67, nel ‘70 e nel ’79, figli che lei crebbe da sola mentre in aggiunta badava a me. Quando, a causa di una polmonite, persi completamente l’uso della voce, un ingegnere creò un sintetizzatore vocale che io pilotavo con una mano. La prima cosa che chiesi con la mia nuova voce fu aiuto per finire un libro a cui stavo lavorando, La breve storia del Tempo, che divenne un best seller.

Con un miscuglio unico di teoria della relatività e meccanica quantistica dimostrai anche che, dopo tutto, qualcosa può scappare dai buchi neri: l’enorme energia crea dal nulla coppie di particelle che, a volte, appaiono a cavallo dell’orizzonte degli eventi, una di qua e una di là; una delle due particelle riesce quindi a scappare!  Questo processo fu chiamato “Radiazione di Hawking”.

Le mie idee erano originali ed importanti, ma difficili da provare; ero un grande scienziato, ma lontano dal livello di Newton o Einstein (infatti, non vincerò mail il premio Nobel). Diventai, però, stranamente famoso a livello mondiale a tutto il grande pubblico. La stampa si innamorò dell’idea della mente geniale che, intrappolata in un corpo paralizzato, partoriva idee grandiose. 

A me questo modo di raccontarmi non è mai piaciuto; non è stata la malattia a fare di me un genio, lo sarei stato anche altrimenti.

Nel 1990 dimostrai che ero umano come tutti, e lo feci nel modo peggiore: dissi a mia moglie che la lasciavo perché mi ero innamorato della mia infermiera, Elaine Mason. Il mio libro era un best-seller ed io ero una star, o mi sentivo tale.

La mia famiglia non la prese bene; oltretutto Elaine era sposata con David Mason,  l’ingegnere che aveva ideato la mia voce artificiale, a cui sarei dovuto essere infinitamente riconoscente. Invece, gli rubai la moglie. Nel 2006 divorziai anche da Elaine e mi riavvicinai a Jane e ai miei figli. Fui (e credo di essere ancora) il fisico teorico più citato di sempre sulle pagine dei giornali scandalistici.

Nel 2009 lasciai la cattedra a Cambridge; ero completamente paralizzato, non potevo muovere neanche un dito, guidavo il mio sintetizzatore vocale solo con un muscolo della guancia, ma continuavo ad essere attivo.

Per provare che i viaggi nel tempo sono impossibili organizzai una festa con cibo pregiato e champagne, annunciandola a tutti solo dopo che c’era stata; così, solo un futuro viaggiatore del tempo sarebbe potuto venire. Nessuno si presentò, il video che feci per l’occasione è divertente, potete trovarlo su Youtube. Mi sono divertito in tanti modi, sono diventato un personaggio dei Simpson e (ovviamente) un ospite frequente della serie TV the Big Bang Theory.

Il volo a gravità zero di Stephen Hawking, offerto da Zero Gravity Corp. (Zero G) nel 2007.

Come dicevo, sono stato fortunato: nella mia vita ho avuto due mogli, tre figli, dodici lauree ad honorem e tantissimi premi. Ho persino provato l’ebrezza di volare a gravità zero, in un volo parabolico, libero per una volta dai miei muscoli inutili. Mi avevano anche promesso di portarmi nello Spazio appena fosse partito il turismo spaziale, ma non fecero in tempo.

Sono morto nel 2018. Ora riposo nell’abbazia di Westminster, tra le tombe di Newton e Darwin, un grande onore per me. Come dissi una volta:


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