“È vivo!” urla di gioia il dottor Frankenstein quando la sua Creatura si muove dopo che un fulmine, incanalato da un lungo cavo metallico, la colpisce. Pochi sanno che questa scena è ispirata a esperimenti fatti davvero a Bologna, nel Settecento, da un riservato studioso. L’esperimento (oltre a ispirare innumerevoli film dell’orrore) ha cambiato per sempre la nostra vita.
Sin dall’antichità l’uomo ha cercato di capire l’origine dall’elettricità. È però solo nel Settecento che lo studio dell’elettricità diventa sistematico. Si costruiscono i primi generatori d’elettricità (funzionano sfregando materiali diversi tra di loro) e si studia l’effetto di questo invisibile “fluido elettrico” su oggetti, animali e persone.
Luigi Galvani è un professore di anatomia bolognese, con buone conoscenze di biologia e fisica; nel suo laboratorio ha sia generatori elettrostatici che rane morte, da dissezionare per studi di anatomia.
Galvani scopre che, se toccati con oggetti metallici, le cosce delle rane si muovono e si agitano, come se i poveri animali fossero ancora vivi! Il fenomeno è chiaramente dovuto all’energia elettrica, ma da dove arriva quest’energia? Scienziato scrupoloso, Galvani fa esperimenti con cosce di rana attaccate a parafulmini, sul terrazzo, vedendo le povere cosce guizzare durante un temporale; però le vede muoversi anche in un giorno sereno, quando sono appese con uncini di rame ad una ringhiera di ferro. Per escludere allora l’origine atmosferica fa esperimenti al chiuso, usando sempre ferro e rame. Si muovono lo stesso!

Galvani nota che i movimenti maggiori si hanno toccando il nervo con due metalli diversi, ma si convince che la sorgente dell’elettricità sia all’interno dell’animale stesso. Questa “elettricità animale”, generata dal cervello, si trasmette ai muscoli attraverso i nervi, e si può accumulare in essi.
Imitando Galvani, tantissimi scienziati ma anche semplici curiosi cominciano a ripetere i suoi esperimenti nei laboratori e salotti in tutta Europa, con grande strage di rane. Tra i curiosi c’è anche un professore di Fisica lombardo, Alessandro Volta.
Mentre Galvani è uno studioso riservato e sedentario, Volta è già uno scienziato famoso, gran viaggiatore, e con tante collaborazioni internazionali.
Dapprima scettico sui risultati di Galvani, ripete gli esperimenti e cambia subito idea passando, come dice lui stesso, “dall’incredulità al fanatismo”!
Volta usa un approccio da fisico, molto più ampio di quello di Galvani. Non si limita a esperimenti sulle rane, ma usa anche altri animali (vivi o morti) compreso se stesso (chiaramente, vivo); scopre che la lingua umana è un muscolo “nudo” come le cosce delle rane, e prova a toccarsi la lingua con due cucchiaini, di stagno e argento, collegati tra loro. Si aspetta di sentir tremolare la lingua invece sente, sorpreso, un forte sapore agro.
Fa esperimenti anche senza animali e alla fine si convince che la vera sorgente dell’elettricità non è nella rana, ma nei due metalli che, a contatto tra di loro, “spingono” le cariche in maniera diversa, usando la rana come un ponte conduttore.
Scoppia un grande dibattito tra i sostenitori dell’elettricità animale e quelli dell’elettricità metallica; la passione delle due fazioni è così intensa che anche a Londra si creano due società contrapposte, una “voltaica” e una “galvanica”.

Chi dei due, tra Galvani e Volta, ha ragione? Tutt’e due! Le scariche più forti si hanno usando elettrodi metallici, ma anche gli esseri viventi possono generare piccole correnti.
La disputa va avanti per anni; è difficile arrivare a conclusioni certe perché, in ogni esperimento, le correnti generate sono piccole, instabili, e durano pochi secondi al più.
È proprio per trovare una sorgente di energia più stabile che Volta, nel 1799, fa il “gran passo”, come egli stesso lo descrive. Inventa un nuovo strumento capace di generare corrente in maniera stabile, forte e riproducibile. L’ispirazione arriva dall’anatomia di un pesce, la torpedine, capace di generare potenti scariche elettriche tramite un organo composto da tanti sottili strati impilati, “gli uni sovrapposti agli altri con mirabil ordine”.
Volta quindi imPILA, l’uno sull’altro, decine di dischi di rame e zinco, alternati a fogli di cartone impregnati di acqua e sale. Il voltaggio generato da ogni strato si somma agli altri, permettendo di raggiungere un valore di 80 Volt (chiaramente, Volta non usa il termine voltaggio e l’unità di misura del Volt). La PILA di dischi può generare una corrente così duratura che si può sentir scorrere nelle dita, se si toccano i due contatti; è così abbondante da generare svariate scintille, senza scaricarsi.
Tutto il mondo scientifico comincia a costruire pile, decretando la vittoria dell’elettricità “metallica” su quella “animale”. Secondo Volta, la pila potrebbe avere qualche vago utilizzo in medicina… si sbaglia.
È invece l’inizio di una rivoluzione che porterà al motore elettrico, alla lampadina, al computer. Questa rivoluzione sarà alimentata da pile di ogni tipo, tutte basate però sullo stesso principio della pila di Volta.
Il bello è che l’idea su cui Volta costruì la sua pila era sbagliata!

Il “motore” che spinge gli elettroni generando una corrente non è, come credeva Volta, il semplice contatto tra i due metalli. La spiegazione è nella chimica; l’acqua salata, che Volta credeva un semplice collegamento, reagisce invece con i due metalli, corrodendo quello di zinco e sviluppando idrogeno su quello di rame. L’insieme delle due reazioni provoca un’abbondanza di carica negativa su un lato della pila, e una carenza sull’altra; collegandole con un filo, si ottiene corrente elettrica!
Alla fine l’elettricità “metallica” soppianta completamente quella “animale”; tutti cominciano a fare esperimenti con le pile, lasciando in pace (almeno per un po’) le povere rane.

Sia Galvani che Volta diventano famosi, e giustamente, per aver intuito parte della spiegazione giusta, nella ricerca comune della verità.
Giovanni Aldini, nipote di Galvani, diventa un ambasciatore della nuova scienza elettrica, girando l’Europa per fare dimostrazioni della nuova meraviglia (usando comunque una pila di Volta).
La sua esibizione più famosa è nel 1803, nella prigione di Newgate a Londra; invece di usare una rana, Aldini tocca con i suoi elettrodi il corpo di un criminale comune, appena impiccato. Gli spasmi e i movimenti di quel cadavere impressionano parecchio il pubblico inglese; anni dopo una giovane scrittrice inglese, Mary Shelley, si ispira a quei fatti per il suo primo romanzo, trasformando un semplice esperimento scientifico con filo di ferro e rane nel mito immortale di Frankenstein.

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